Venerdì, 19 Luglio 2019 17:58

Paolo Borsellino e la sua scorta: la commemorazione della città del Modello Ercolano - FOTO E VIDEO

Sono passati 27 anni da quel 19 luglio 1992.

Ventisette anni dalle immagini che tutta l’Italia ha impresse nella memoria assieme a quelle di Capaci. In via D’Amelio a Palermo una Fiat 126 imbottita di esplosivo veniva fatta saltare in aria davanti alla casa della madre del giudice Paolo Borsellino. Per lui e per gli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna della Polizia a morire in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, non c’è stato scampo.

 

Ventisette anni dopo in via D’Amelio il ricordo del giudice, le commemorazioni, per la prima volta senza Rita Borsellino, morta lo scorso anno. «Quest’anno mi riesce più difficile partecipare alle celebrazioni perché non c’è Rita - ha detto il fratello Salvatore - ma sono felice che, per la prima volta, questo anniversario sia stato programmato insieme dal movimento delle Agende rosse e dal Centro studi Paolo Borsellino. Per me non si tratta solo di fare memoria, ma di lotta perché ogni volta dobbiamo ricordare che a ucciderlo non è stato il nemico, bensì il fuoco che proveniva dalle sue spalle, da chi doveva combattere insieme a lui. Per questo per me memoria significa lotta».

 

Anche noi questa mattina, in collaborazione con Istituzioni e Forze dell'Ordine, abbiamo ricordato come ormai sempre facciamo da oltre dieci anni le vittime di quella orribile strage.

 

La commissione di Palazzo San Macuto presieduta da Nicola Morra – con la consulenza del pm Roberto Tartaglia – proprio nei giorni scorsi ha deciso di desecretare tutti gli atti raccolti dalla sua istituzione nel 1962. A cominciare proprio dalle audizioni di Paolo Borsellino. Sono sei le volte in cui il magistrato compare davanti all’Antimafia tra il 1984 e il 1991. L’11 e 12 dicembre 1986  l’organismo parlamentare va a Marsala dove Borsellino era da poco diventato capo. “Io ero molto stanco e volevo andare e dissi di dimezzarmi la scorta e solo così avemmo la volante”, racconta il magistrato riferendosi a una riunione del Comitato per sicurezza pubblica.

 

"Buona parte di noi non può essere accompagnato in ufficio di pomeriggio da macchine blindate - come avviene la mattina - perché di pomeriggio è disponibile solo una macchina blindata, che evidentemente non può andare a raccogliere 4 colleghi". dice Borsellino durante una deposizione alla Commissione antimafia a Palermo nel maggio del 1984. "Io, sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e torno a casa per le 21 o le 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà utilizzando la mia automobile, però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per poi essere libero di essere ucciso la sera".

 

In un altro passaggio Borsellino lancia un allarme: “C’è un calo di tensione nella lotta alla mafia. Si tende nuovamente a regionalizzare questo fenomeno e poi a confonderlo col suo momento processuale. In questo senso il Maxiprocesso è stato un danno: oggi si guarda alla mafia solo come a quello che c’è dentro all’aula. Però non è tutto lì: lo Stato non deve ragionare in questo modo”. 

 

Borsellino sapeva che sarebbe stato ucciso, Borsellino sapeva del tritolo, Borsellino sapeva ed è andato avanti per amore di verità e giustizia, per dovere morale. Borsellino sapeva contro chi stava combattendo, Borsellino sapeva distinguere “cosa nostra” dalla mafia, Borsellino sapeva dei pezzi deviato dello stato e della chiesa, di politici corrotti e di spregiudicati carrieristi. Ecco perchè la strage di via D’Amelio e il sacrificio di Paolo assumono oggi un profondo significato per chi è in condizione di capirlo.

 

Un ringraziamento a tutte le donne ed agli uomini che quotidianamente sono impegnati con amore e passione, valore e rettitudine nella tutela dei principi costituzionali di giustizia, legalità e libertà.

 

Giuseppe Scognamiglio

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